ENTRO L’ANNO IL VERDETTO UFFICIALE DELLA CHIESA: LA MADONNA E’APPARSA A MEDJUGORJE

L’orologio segna le 22.30 del 26 agosto 2017. Non è un dettaglio secondario perché verrà in rilievo di qui a poco.

Scrivo questo articolo per ribattere la notizia di questi giorni, circa l’esito della Commissione d’inchiesta su Medjugorje, presieduta dal Cardinale Ruini e istituita da papa Benedetto XVI, per far luce sull’autenticità delle apparizioni della Madonna in quel villaggio della ex Jugoslavia.

Il risultato di tale inchiesta verrà ufficializzato entro la fine di quest’anno, ma è stato anticipato nei giorni scorsi dall’inviato di Papa Francesco, a Medjugorje, Henryk Hoser, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa cattolica polacca denominata Kai.

L’arcivescovo di Varsavia Hoser ha rivelato che ben 13 membri su 15 presenti, della Commissione Internazionale presieduta da Ruini, hanno votato per il riconoscimento delle prime 7 apparizioni, iniziate il 24 giugno 1981.

Mentre sulle apparizioni successive, che giungono fino ai giorni nostri, il giudizio è stato sospeso, perché ancora non ci sono elementi certi per la loro attestazione, e nemmeno per la loro confutazione.

E’ dunque vero – anche per la Chiesa ufficiale e non solo per i milioni di pellegrini che ogni anno si recano in quel luogo – che la Madonna sia apparsa a Medjugorje dal 24 al 30 giugno 1981, e ciò non è una invenzione dei veggenti o una macchinazione dei frati della parrocchia o una diavoleria di Lucifero, come hanno ripetutamente detto da ogni parte in questi anni, buttando fango su quel luogo, voci menzognere provenienti da fuori come da dentro la Chiesa.

E’ però singolare come oggi stesso Il Corriere della Sera abbia dedicato alla notizia positiva soltanto un piccolo trafiletto dal titolo: “Apparizioni riconosciute entro l’anno”.

Dopo che lo stesso giornale aveva riempito con titoloni a tutta pagina ed articoli a nove colonne le notizie a carattere negativo, che gettavano discredito su Medjugorje, venute fuori a febbraio scorso,  dal Vescovo di Mostar – che ha autorità giurisdizionale su quella parrocchia, sembra ancora per poco – e poi a maggio dalle opinioni del Papa, di ritorno da Fatima per il centenario, su cui lo stesso Pontefice aveva precisato la natura di idee strettamente personali, con cui nutriva perplessità su queste apparizioni, ma come tali non vincolanti per i fedeli.

Il dogma dell’infallibilità papale, per chi crede, si estrinseca nei documenti ufficiali della Chiesa, quando il Sommo Pontefice si pronuncia ex cathedra, perché illuminato dal dono sapienziale dello Spirito Santo.

 Non invece quando il Papa pensa e parla a titolo di opinione personale, allorquando può anche sbagliare, come tutti gli uomini.

Ciò che del resto era capitato in precedenza al Papa buono, oggi santo, Giovanni XXIII. Che di Padre Pio aveva un’opinione negativa, credendo perfino che le stigmate fossero frutto di una macchinazione del frate.

 Ma mai un’opinione papale si sarebbe, poi, rivelata più fallace di quella!

Tornando ai fatti di Medjugorje, chi scrive ha sempre sostenuto – scrivendo svariati articoli sul tema -l’autenticità delle apparizioni della Gospa – così la Madonna è chiamata in quel piccolo villaggio, termine che in croato significa Signora – perché sulla sua pelle aveva fatto esperienza di un cambiamento radicale di vita, all’indomani di una ‘presunta’ apparizione alla quale aveva assistito.

Questi sono stati i fatti.

Era il 26 agosto 2005, esattamente come oggi.

L’orologio segnava anche allora le 22.30 – come quando ho cominciato a scrivere – allorquando, trovandomi per la prima volta a Medjugorje, e tutt’altro che convinto dell’autenticità delle apparizioni, fui invitato dal mio gruppo a recarmi alla Croce blu, cioè ai piedi della collina delle apparizioni – denominata Podbrdo – perché lì sarebbe apparsa la Madonna al veggente Ivan.

In quel momento io ero alquanto scettico sullo scenario che mi si presentava davanti, reduce tra l’altro da quindici anni di abbandono della pratica dei sacramenti e della vita della Chiesa, alla quale avevo preferito, negli ultimi tempi, la frequentazione alla domenica delle agenzie di scommesse di calcio, al posto della Messa.

Ma quella sera credo che qualcosa sia realmente accaduto, perché la sensazione di veridicità di quell’apparizione l’ho desunta dagli effetti che si sarebbero sprigionati sulla mia vita dall’indomani, in cui io non sarei stato più lo stesso di prima.

Il veggente Ivan raccontò, alla fine del suo ‘incontro’ di quel 26 agosto con la Gospa, a cui anch’io avevo assistito, che la Madonna aveva steso le mani sui presenti e aveva pregato per loro.

Se ciò fosse stato vero, i frutti di quella speciale preghiera non si sarebbero fatti attendere. Detto fatto.

Al risveglio dell’indomani, io ebbi un moto dall’interno, la cui origine non era attribuibile alla mia persona, dati i lunghi trascorsi di segno opposto, che mi spinse a fare la fila al confessionale: un luogo da me disertato da quindici anni.

Subito dopo, al rientro in Italia, volli fare il catechismo per ricevere il sacramento della Cresima, per poi desiderare di fare un percorso di studi di Teologia, che puntualmente avvenne.

Le agenzie di scommesse non le avrei più viste, per un rigetto totale ed immediato che non poteva essere farina del mio sacco, data la marcata dipendenza che mi contrassegnava negli ultimi anni.

Ma la cosa più bella è stata quella di aver mantenuto fino ad oggi, in tutti questi anni da quella sera, un sentimento di gratitudine verso Colei che aveva rimesso ordine nella mia vita spirituale, tanto da desiderare ogni anno di ritornare a Medjugorje, mosso da una lucida consapevolezza della assoluta preziosità di quanto ricevuto.

Il bello di questa storia è che non si è trattato di qualcosa di unico e irripetibile ma ha rispecchiato la vicenda esistenziale di tantissime persone che, seppure con sfumature diverse, hanno avuto in questi trentasei anni, dal 1981 ad oggi, un’esperienza di conversione in quel luogo. E non è ancora finita.

Leggere oggi sul Corriere della Sera, ancora in un 26 agosto, seppure in modo sintetico e all’interno di un trafiletto, che l’arcivescovo Hoser, mandato dal Papa a fare chiarezza sulla realtà pastorale della Chiesa di Medjugorje ha detto che il suo lavoro si è concluso con esito molto positivo, preannunciando che entro l’anno verrà reso noto il risultato della Commissione Ruini, che riconosce l’autenticità delle prime 7 apparizioni, mi ha riempito il cuore di gioia.

Non facendomi passare inosservata la ricorrenza della data di oggi.

Che ho voluto condividere in questo articolo.

Iniziando a scrivere alla stessa ora di quel 26 agosto, allorquando ho ragione di credere che davvero la Madre celeste irruppe su quella collina di Medjugorje a pregare con le mani stese sui presenti, per chiedere a Dio che facesse loro dono della conversione del cuore.

Bologna, 26 agosto 2017

 

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FRA ERUDIZIONE E CULTURA A LEZIONE DAL FILOSOFO BARZAGHI

Foto di Padre BarzaghiNel definire il significato del termine insegnare, all’interno di una sua omelia, il filosofo domenicano di Bologna Padre Barzaghi ha sottolineato la differenza fra erudizione e cultura, collegando il tutto al Vangelo della Domenica.
La Messa da lui officiata è da diversi anni, ormai, quella delle ore 22 della Domenica, sempre stracolma di gente, nonostante l’ora tarda – per lo più giovani, fatto raro, di questi tempi – nella prestigiosa Basilica bolognese che conserva le spoglie del Santo fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori: Domenico di Guzman.
Padre Barzaghi, che è docente di logica allo Studio Filosofico Domenicano, ha spiegato nella circostanza il significato della Festa di Pentecoste, facendo riferimento alle seguenti parole di Gesù: " Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto".
A proposito del termine insegnare il filosofo tomista ha precisato la differenza fra erudizione e cultura, di cui dicevamo all’inizio.
Insegnare significa letteralmente trasmettere dei segni. Come quando la maestra trasmette agli alunni della prima elementare i segni delle lettere dell'alfabeto.
Chi riceve questi segni, cioè coloro che vengono istruiti, possono realizzare l'apprendimento come esperienza di auto-limite o come qualcosa che indica loro una direzione da intraprendere.
Nel primo caso il bambino che apprende il segno della lettera A, se non lo pone in collegamento con la realtà che lo circonda, in funzione applicativa del suo conoscere, vivrà quell'apprendimento in modo auto-limitato.
Il bambino, invece, che sentendo esclamare una sua compagna di banco con l'espressione "Aaaahhh" collegherà il segno appena appreso della lettera A a ciò che succede nella realtà a lui prossima, e così facendo avrà vissuto la conoscenza non come auto-limite ma come qualcosa che gli indica una direzione.
Nel primo caso si avrà erudizione, nel secondo ci sarà cultura.
Non ci vuole tanto a capire che la prima esperienza è fruttuosamente redditizia e la seconda è deleteria e sterile. Più difficile è capire come si passa dalla prima alla seconda.
Ce lo spiega il nostro di cui sopra, un sacerdote ‘sui generis’ che fa dell’omelia una vera lezione di filosofia.
Per passare dall'erudizione alla cultura, da parte di chi apprende un insegnamento, occorre un ‘guizzo di intelligenza’ – l’espressione è testuale – che ti fa vedere una direzione, da praticare in concreto, da quel segno che si è appena appreso in astratto, così da risultare 'coltivato' e non semplicemente 'erudito'.
Applicando questo ragionamento alla Pentecoste, il filosofo Barzaghi arriva alla conclusione che l'uomo di fede deve rivolgersi all'azione dello Spirito Santo, che lo guida nelle strade della vita, per ricevere da Lui i segni che insegnano… le direzioni da intraprendere.

Così facendo non sarà erudito ma coltivato, seguendo la promessa fatta da Gesù ai discepoli prima dell'Ascensione, che naturalmente vale anche per i credenti di oggi.
La promessa che invierà il Paraclito che spiegherà loro ogni cosa.
Ma in che modo avviene l’insegnamento di Dio che guida l’uomo sulla strada da seguire?
Non stando davanti, risponde Barzaghi, come saremmo portati a pensare se immaginiamo la guida dei condottieri di un esercito. Ma da dietro: lo Spirito Santo sospinge da dietro chi a Lui si affida indicandogli la giusta direzione in cui incamminarsi.
Ma a questo punto il nostro filosofo si imbatteva in un ragionamento complesso, che qui omettiamo per ragioni di sintesi, per dimostrare che i tre verbi ‘sospingere’, ‘insegnare’ e ‘ricordare’ hanno la stessa radice semantica.
E ciò avvalora il fatto che lo Spirito Santo quando agisce sull'uomo fa sempre la stessa cosa, che corrisponde esattamente a ciò che Gesù ha indicato nel Vangelo di Giovanni, proclamato nel 50° e ultimo giorno del tempo di Pasqua:" Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto".
L'ultimo concetto significativo da sottolineare, dell'omelia di Pentecoste del filosofo Barzaghi, è che colui che è sospinto con fede dalla guida dello Spirito , andrà a vivere il passato e il futuro contemporaneamente nel suo presente.
Il passato gli verrà dalla memoria della conoscenza della verità e il futuro gli sarà indicato dalla direzione da intraprendere. Il tutto nel presente storico in cui riceve la guida dello Spirito, così da realizzare il suo vivere quotidiano con leggerezza, determinazione e vigore.
Provare per credere.

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UN BRIGANTE SI REDIME E DIVENTA MAESTRO A CIRIGLIANO: LA RICOSTRUZIONE STORICA DI G. LATRONICO

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A leggere la vicenda esistenziale di un feroce assassino di Lucania – in “Donatantonio Gruosso : il brigantaggio e la redenzione”, di Giuseppe Latronico – si rimane basiti.

Non tanto per il curriculum criminale che il protagonista dell’opera riesce a inanellare – tanto da meritare venti anni di reclusione ai lavori forzati, tutti scontati – quanto per ciò che accade dopo.

Siamo nella Lucania dell’Italia pre-unitaria di metà ottocento, quando Gruosso nasce ad Avigliano, in provincia di Potenza. Ad appena 17 anni le cronache narrano che è entrato ed uscito dal carcere già tre volte. Si tratta di piccoli reati, prima del ‘salto di qualità’ che avviene con l’adesione al brigantaggio. Nel giro di appena cinque anni dà dimostrazione di una spiccata propensione a delinquere, con una serie di reati gravi – fra cui l’omicidio – che gli costeranno una condanna a quindici anni di lavori forzati, poi diventati venti, che il Gruosso sconta per intero fino al 1887, nelle ‘case mandamentali’ di Potenza e Trapani.

Uscito dal carcere, a 41 anni, la vita di questo brigante cambierà radicalmente. Dopo soli cinque mesi in cui trova difficoltà a reinserirsi nel suo paese d’origine, il Gruosso si trasferisce a Cirigliano ( Matera ), dove rimarrà fino alla morte, avvenuta alla veneranda età di 91 anni. Ed è qui che si compie la sua radicale metamorfosi. Intanto non è più un analfabeta, così come si era presentato in carcere a 22 anni. Perché nel lungo periodo di detenzione ha avuto modo di imparare a leggere e scrivere, chiedendo aiuto ai suoi compagni di sventura a Potenza, per poi frequentare regolarmente una scuola nel successivo carcere di Trapani. Fino ad arrivare a scrivere un libro, dopo una seria formazione in storia, geografia e filosofia. Giunto a Cirigliano, sulla spinta della gente del luogo caratterizzata da un forte analfabetismo, fonda così una scuola elementare, di cui egli stesso funge da maestro, con due corsi distinti: diurno per i bimbi e serale per gli adulti. Convolerà a nozze ben due volte, e manterrà una condotta irreprensibile, tanto da meritare l’annullamento della misura restrittiva della vigilanza che gli era stata inflitta dalla sentenza di condanna, da scontare dopo la pena principale.

Fin qui la ricostruzione dei fatti storici, che l’autore dell’opera condisce in appendice con una scrupolosa documentazione, frutto di una non agevole ricerca di archivio. Ma per chi scrive non è questa la parte più suggestiva dell’opera di Latronico, quanto piuttosto ciò che è emerso da fonti non scritte e tramandate oralmente dalla gente del posto, fra cui la nonna dell’autore che aveva frequentato la scuola del Gruosso.

Mi riferisco, in particolare, all’episodio che avrebbe segnato il cambiamento in bene di un ex feroce malfattore. Sembra che in una delle sue passeggiate fuori paese, Dio gli abbia mandato un segno visibile per la sua redenzione. La vista di un enorme masso che era fatto a forma di mano rivoltata verso sé stessa, ad indicare che doveva volgersi verso quel luogo, rispondendo al richiamo. Fu così che un giorno il nostro brigante si mise a scavare quel masso, fino a crearne una sorta di porta d’ingresso che lasciava spazio a due posti alloggiati all’interno: uno per il maestro e l’altro per l’allievo della futura scuola!

l fatto che Gruosso decidesse di appendere un quadro della Madonna all’interno di quella sede scolastica, successivamente allargata, fece pensare ad un’apparizione della Vergine, al brigante, a fondamento di quella decisione. Da allora un numero significativo di persone, bambini ed adulti di Cirigliano, impararono a leggere e scrivere in quella grotta, che per tutti divenne la ‘Grotta della Madonna’. Tanto che alla morte del brigante la scuola fu trasformata in una cappella, seppure non consacrata canonicamente, ma ugualmente meta di processione dei fedeli nella ricorrenza della ‘Madonna della grotta’, fissata per l’ultima domenica di maggio. Qualcuno ha testimoniato di aver visto il brigante convertito portare sulle spalle una pesante croce di legno, da lui stesso costruita, per lunghi tratti del bosco fuori paese, in segno di espiazione per i gravi peccati commessi. Qualcun altro avrebbe scorto, sotto i vestiti del brigante, la presenza di un cilicio, strumento di auto-punizione corporale per la stessa ragione di cui sopra.

Nel corso dell’anno del Giubileo straordinario della Divina Misericordia, indetto da Papa Francesco l’8 dicembre 2015, questa storia torna fortemente di attualità, a testimonianza dell’infinito amore di Dio che si fa perdono misericordioso verso tutti. Anche se uno è stato, nella vita trascorsa prima della conversione, un brigante assassino di Lucania che risponde al nome di Donatantonio Gruosso.

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RITRATTI DI SANTI: ANGELA DA FOLIGNO

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Vissuta nel XIII secolo al tempo di Dante Alighieri e Jacopone da Todi, Angela da Foligno fu beatificata nel 1693 da Papa Innocenzo XII,  quasi  4 secoli dopo la sua morte avvenuta il 4 gennaio 1309.

Già in vita conosciuta come Magistra Theologorum  che significa Maestra dei Teologi, la Beata Angela il 9 ottobre 2013 ha ricevuto da Papa Francesco  la canonizzazione per equipollenza, cioè il riconoscimento della sua santità senza una cerimonia ufficiale di proclamazione, come avviene di solito quando ci si riferisce a figure risalenti a epoche storiche passate, come il Medio Evo. E’ sufficiente la constatazione del possesso antico del culto, ( che nel caso di Angela fu stabilito nel 1701 dall’antica Congregazione dei riti), la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle sue virtù eroiche  e la ininterrotta fama di prodigi. La memoria liturgica di questa Santa è stata fissata da Papa Francesco al 4 gennaio.

Angela nacque a Foligno in una ricca famiglia e visse fra i benesseri e i piaceri del mondo. Si sa con certezza che si sposò, ebbe dei figli e la madre soddisfaceva tutti i suoi capricci. Ma cominciò, come lei stessa racconterà al Direttore Spirituale, il Conventuale Minore  fra’ Arnaldo, a «conoscere il peccato», come è riportato nel Memoriale steso dallo stesso francescano. Andò a confessarsi, ma «la vergogna le impedì di fare una confessione completa e per questo rimase nel tormento».

Pregò San Francesco che le apparve in sogno, rassicurandola che avrebbe conosciuto la misericordia di Dio. E la pace arrivò nel 1285, attraverso una confessione totale: aveva 37 anni. Iniziò così una vita di austera penitenza: povertà dalle cose, dagli affetti e da se stessa. A motivo della drastica conversione dovette affrontare ostilità ed ingiurie da parte della famiglia. Ma lei perseverò anche quando morirono madre, marito, figli.

Sant’Angela da Foligno ci ha lasciato un’autobiografia spirituale che mostra i trenta passi che l’anima compie raggiungendo l’intima comunione con Dio, attraverso la meditazione dei misteri di Cristo, l’Eucaristia, le tentazioni e le penitenze.

Chi prende in mano questo "Dossier" angelano, oggi intitolato "Il libro della Beata Angela da Foligno", (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996) e scorre l'Indice, nota che l'opera tratta tra le altre cose delle esperienze mistiche della Santa di Foligno.

In una pagina viene descritto il modo in cui  nel 1291  la mistica si trovi, lungo il cammino che la conduceva ad Assisi, alla presenza della Trinità: «Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sembrava che era ogni bene. Dopo la sua partenza, cominciai a strillare ad alta voce Amore non conosciuto perché? Perché mi lasci?».

Delle mirabili visioni e locuzioni che  sono descritte in questo libro, protagonista è la Santissima Trinità, particolarmente numerose e commoventi quelle in cui si manifesta il Figlio di Dio.

In altri eventi Angela entrò in speciale comunione con la Vergine Maria, e non mancano esperienze che si riferiscono agli Angeli, San Francesco e San Giovanni Apostolo.

La mistica di Foligno insegna che non c’è vera vita spirituale senza l’umiltà e senza la preghiera. Questa può essere corporale (vocale), mentale (quando si pensa a Dio) e soprannaturale (contemplazione): «In queste tre scuole uno conosce sé e Dio; e per il fatto che conosce, ama; e perché ama, desidera avere ciò che ama. E questo è il segno del vero amore: che chi ama non trasforma parte di sé, ma tutto sé nell’Amato».

Angela comprese che la profonda comunione con Dio non è un’utopia, ma una possibilità  impedita solo dal peccato: di qui la necessità della mortificazione e del sacrificio. E per raggiungere l’unione profonda con il Signore sono indispensabili l’Eucaristia e la meditazione della Passione e Morte di Cristo, ai piedi della Croce, insieme a Maria Santissima.

Dalla storia dei grandi mistici della Chiesa Cattolica, di cui Sant’Angela è un esempio, si evince che questi uomini e donne erano tutt’altro che alienati, frustrati, umanamente insoddisfatti, ripiegati su se stessi o concentrati sul proprio io. Vivevano di Dio e per Dio, centrati su di Lui  attingendo al suo Amore, che naturalmente manifestavano sul prossimo in mille modi e in molteplici attività. Dio era per loro un fuoco interiore incontenibile, come per il profeta Geremia, che li portava a «bruciare» di esso e con esso tutti quelli che avvicinavano.

Per dirla col filosofo  Bergson “L’amore che  consuma il mistico non è più semplicemente l’amore di un uomo verso Dio, è l’amore di Dio per tutti gli uomini. Attraverso Dio, con Dio, egli ama tutta l’umanità di un amore divino».

Le reliquie di Sant’Angela da Foligno sono conservate nella Chiesa di San Francesco, retta dai Frati Minori Conventuali di Foligno, dove  è stato eretto il suo Santuario.

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Un povero vecchio

C'era una volta un vecchio che non era mai stato giovane. In tutta la sua vita, in realtà, non aveva mai imparato a vivere. E non avendo mai imparato a vivere, non riusciva neppure a morire.
Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere. Tutto ciò che succedeva nel mondo non lo addolorava e neppure lo stupiva. Passava le sue giornate oziando sulla soglia della sua capanna, senza degnare di uno sguardo il cielo, l'immenso cristallo azzurro che, anche per lui, il Signore ogni giorno puliva con la soffice bambagia delle nuvole.
Qualche viandante lo interrogava.
Era così carico d'anni che la gente lo credeva molto saggio e cercava di far tesoro della sua secolare esperienza.
"Che cosa dobbiamo fare per raggiungere la felicità?" chiedevano i giovani. "La felicità è un'invenzione degli stupidi" rispondeva il vecchio.
Passavano uomini dall'animo nobile, desiderosi di rendersi utili al prossimo. "In che modo possiamo sacrificarci per aiutare i nostri fratelli?" chiedevano. "Chi si sacrifica per l'umanità è un pazzo" rispondeva il vecchio, con un ghigno sinistro.
"Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?" gli domandavano i genitori. "I figli sono serpenti" rispondeva il vecchio. "Da essi ci si possono aspettare solo morsi velenosi".
Anche gli artisti e i poeti si recavano a consultare il vecchio che tutti credevano saggio. "Insegnaci ad esprimere i sentimenti che abbiamo nell'anima" gli dicevano. "Fareste meglio a tacere" brontolava il vecchio.

Poco alla volta, le sue idee maligne e tristi influenzarono il mondo. Dal suo angolo squallido, dove non crescevano fiori e non cantavano gli uccelli, Pessimismo (questo era il nome del vecchio) faceva giungere un vento gelido sulla bontà, l'amore, la generosità che, investiti da quel soffio mortifero, appassivano e seccavano. Tutto questo dispiacque molto al Signore che decise di rimediare.
Chiamò un bambino e gli disse: "Va' a dare un bacio a quel povero vecchio".
Il bambino ubbidì.
Circondò con le sue braccia tenere a paffute il collo del vecchio e gli stampò un bacio umido e rumoroso sulla faccia rugosa.
Per la prima volta il vecchio si stupì. I suoi occhi torbidi divennero di colpo limpidi. Perché nessuno lo aveva mai baciato.
Così aperse gli occhi alla vita e poi morì, sorridendo.

 

A volte, davvero, basta un bacio. Un "Ti voglio bene", anche solo sussurrato. Un timido "Grazie". Un apprezzamento sincero. É così facile far felice un altro. Allora perché non lo facciamo?

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IN MEMORIA DEL CARDINALE GIACOMO BIFFI

foto Cardinale  Biffi

Intorno alle 3 di questa notte, 11 luglio 2015, si è spento il Cardinale Giacomo Biffi.

Aveva 87 anni. Malato da tempo, a maggio scorso  aveva subito un delicato intervento chirurgico a una gamba, con l’asportazione dell’arto.

Per quasi 20 anni, dal 1984 al 2003, aveva governato l’Archidiocesi di Bologna, prima della rinuncia al mandato per raggiunti limiti di età. Da allora, come Vescovo emerito della città, si era ritirato per i restanti anni, presso la villa San Giacomo di San Lazzaro, scegliendo il silenzio.

Un mese fa, informato della sua malattia, Papa Francesco gli aveva inviato un augurio, assicurandogli la sua preghiera con queste parole: “Prego per Lei, perché Ella possa fiduciosamente aderire alla volontà del Signore e offrire i suoi patimenti per il bene della Chiesa”.

L’attuale Arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, dovette riferirgli personalmente della necessità di quel delicato intervento, non avendo Biffi parenti stretti in vita, e la reazione di quest’ultimo alla notizia fu di impressionante serenità, che non poteva essere un’improvvisata ma il  segno inconfutabile di una grande fede nel Regno di Dio dopo la morte, come ebbe modo di riferire in un’intervista lo stesso Cardinale Caffarra.

Biffi è stato il 110° Successore di San Petronio e il 118° Pastore della Chiesa Bolognese.  Nominato Vescovo da Papa Paolo VI nel 1976, fu elevato al rango di Cardinale da Giovanni Paolo II nel 1985, un anno dopo la nomina ad Arcivescovo di Bologna.

E’ stato anche membro della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, della Congregazione del clero e della Congregazione per l'educazione cattolica.

Ritiratosi nel 2003 per raggiunti limiti d'età, ha conservato il titolo di arcivescovo emerito di Bologna. Tutti lo ricordano per quella frase pronunciata 30 anni fa, sulla città di Bologna, che suscitò molto scalpore. Papa Giovanni Paolo II l’aveva nominato da un anno Vescovo della città felsinea, proveniente da Milano, e lui aveva sentenziato: “ Bologna, sei una città sazia e disperata!”

Ci sarebbe rimasto per un ventennio, al governo spirituale di quella città, non mancando di sottolineare altre verità scomode, poi rivelatesi profetiche.

Come quando intervenne sul problema degli extracomunitari con una posizione forte, ma colma di saggezza.

Quando il problema degli sbarchi clandestini era ancora agli inizi, non potendo accoglierli tutti per un oggettivo ed inconfutabile problema di tipo logistico, il Cardinale Biffi  suggerì di stabilire, come discrimine, il criterio delle comuni origini religiose, per facilitarne l’integrazione sociale ed evitare ciò che poi è successo: una forte autoemarginazione islamica per irriducibili differenze culturali.

Tant’è che quando si è tentato qualche esperimento di integrazione, con i matrimoni misti fra cattolici e musulmani, si è finiti in tribunale con la moglie cattolica costretta, suo malgrado, ad alzarsi nel pieno della notte, per pregare con il marito musulmano e viceversa.

E’ stato leggendo questi fatti di cronaca che il pensiero andava inevitabilmente alla profezia di Biffi, e molti di quelli che l’avevano considerata razzista e fuori luogo allora, per un uomo di Chiesa, si sono dovuti ricredere.

Io personalmente ricordo una sua omelia infuocata di un mercoledì delle ceneri in San Petronio – risalente  ai miei studi universitari,  capitato lì per caso non essendo allora praticante – in cui il Cardinale tuonava contro la società  del nostro tempo, che era piena a suo dire “di suggestioni mortifere di una cultura anticristiana.” Come dargli torto, anche alla luce degli ultimi sviluppi di questi anni, tra eutanasia, lotta alla famiglia tradizionale e teoria del ‘gender’ – che   abolisce la distinzione maschio-femmina – che  vogliono insegnare ai bambini dell’elementare?

Un aneddoto divertente sulla figura di Giacomo Biffi, viene dal Conclave del 2005. Dovevano eleggere il nuovo Papa dopo la morte di Giovanni Paolo II, e al terzo scrutinio Biffi confida spazientito, in pausa pranzo, ad un altro Cardinale:

“ Se scopro chi si ostina a darmi quell’unico voto che prendo a ogni votazione, giuro che lo prendo a schiaffi!”

Al che l’altro gli ribatte intimidito: "Eminenza, ormai è chiaro chi stiamo eleggendo come nuovo Papa ed è anche abbastanza evidente che questo candidato abbia scelto di votare per lei. Quindi se vorrà ancora mantenere il suo proposito sarà costretto a prendere a schiaffi il Papa". Biffi rimase di stucco: il Cardinale Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI, aveva deciso di votare per lui!

Teologo pungente e ironico, Biffi fu uomo di Chiesa dalle posizioni nette, preferendo ‘la certezza della fede’  a sfumature e compromessi.

Scrittore inesauribile ma anche pastore di voce forte, Biffi amava dire di essere del "partito della Chiesa" e a Bologna trovò le amministrazioni di sinistra. Di posizioni non certo progressiste, ricordò di aver sempre mantenuto rapporti cordiali, pur non lesinando critiche salaci senza guardare in faccia nessuno.

Quando io mi sono riavvicinato alla Chiesa e Biffi non era più Arcivescovo in carica, memore del suo episcopato che avevo seguito solo sui giornali, ho avvertito il bisogno di scrivergli più volte. Erano gli anni del suo ritiro dalla vita pubblica, e alle mie questioni poste a distanza, di carattere spirituale, il Cardinale non ha mai mancato di rispondere, con il solito acume intellettuale rimasto pressoché inalterato nel tempo.

Un giorno, con grande emozione, ricevetti un suo libro, via posta,  con  dedica scritta di suo pugno sul frontespizio, che mi invitava ad una lettura fruttuosa del testo.

Il titolo del libro era: “Esplorando il Disegno”, una raccolta di sue lezioni magistrali di Religione Cattolica tenute all’Università di Bologna, al tempo del suo episcopato.

Aveva fatto quella scelta, per me, tra i tanti suoi libri, perché sapeva che io insegnavo Religione. Non poteva che essere la scelta migliore.

Da stamattina compare una frase, sulla sua pagina Facebook, che è stata estrapolata da uno dei suoi innumerevoli scritti:

“Dopo, c'è Cristo; di là dallo schermo delle cose, c'è Cristo; alla fine di tutto, c'è Cristo”.

Da oggi la Chiesa di Bologna è più povera. Ossequi Eminenza, riposa in pace!   

foto Biffi 2

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LA MAGNA CARTA COMPIE 800 ANNI: FU L’INIZIO DI DEMOCRAZIA E DIRITTO

foto Magna Carta

15 giugno 1215: esattamente 800 anni fa, come oggi, veniva firmato uno dei documenti più famosi al mondo, destinato a diventare un atto precursore per la nascita delle moderne democrazie e del  costituzionalismo occidentale.

Era la “Magna Carta Libertatum”: il primo documento ufficiale a sancire che un re doveva seguire le leggi e garantire i diritti ai cittadini.

Prima di allora il sovrano era sempre stato “ab solutus”, cioè sciolto da ogni vincolo di legge che lo limitasse nel suo agire verso i propri sudditi. Da qui l’espressione di “monarchia assoluta” usata per indicare la forma di governo degli Stati nazionali.

800 anni fa, il re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra, succeduto nel 1199 al fratello Riccardo Cuor di Leone, doveva difendere e riconquistare alcuni possedimenti francesi. Qui ingaggiò una guerra con il regno di Francia, finanziata da una forte tassazione applicata ai suoi baroni, che denunciarono pubblicamente questa decisione.

A causa dell’esito negativo della guerra e della successiva rivolta dei baroni, il re d’Inghilterra si vide costretto, durante un incontro con i ribelli avvenuto il 15 giugno nella brughiera di Runnymede,  a una serie di concessioni che costituiscono il contenuto principale della Magna Carta , in cambio della rinnovata obbedienza.

Il testo di questo documento  sanciva anzitutto il principio secondo cui il popolo d'Inghilterra, rappresentato dai baroni, avrebbe potuto limitare il potere di un re, nel caso in cui le sue azioni fossero andate contro gli interessi del Paese.

Quelle regole sono sopravvissute fino ad oggi, e quel documento, scritto in latino, è ritenuto una “pagina” centrale della storia della democrazia, e  uno dei passi fondamentali dell'uomo nel riconoscimento dei diritti del cittadino.

Gli articoli principali riguardano: il divieto per il sovrano di imporre nuove tasse direttamente ai vassalli  senza aver prima ottenuto il consenso del "commune consilium regni", composto da arcivescovi, abati, conti e i maggiori baroni, da convocare con preavviso; la garanzia per tutti gli uomini di non poter essere imprigionati senza prima essere stati regolarmente processati; la proporzionalità della pena rispetto al reato; il futuro principio della legittima resistenza all'oppressione di un governo ritenuto ingiusto; l'integrità e libertà della Chiesa inglese precedentemente messa in discussione  dalla disputa tra Enrico II, padre di Giovanni, e l’arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket. Veniva infine  concesso a tutti i mercanti il diritto gratuito di ingresso e di uscita dal paese, tranne quelli provenienti da Paesi in conflitto con l'Inghilterra.

Poche settimane dopo l’approvazione della Magna Carta, re Giovanni scrisse una lettera al Papa implorandolo di annullare il documento e dicendogli che gli era stato estorto con le minacce. Il Papa lo accontentò, ma i baroni si ribellarono di nuovo, facendo scoppiare una guerra civile. Giovanni morì poco dopo di dissenteria e per risparmiarsi problemi con i  riottosi  baroni il suo successore dichiarò la Magna Carta di nuovo valida.

Nel Seicento ci fu un ritorno alla monarchia assoluta, non solo in Inghilterra, con i sovrani della dinastia Stewart che fecero passare in secondo piano la Magna Carta  rispetto alle prerogative di sovrani che sostenevano di regnare direttamente per volere di Dio.

La rivoluzione inglese di metà Seicento, nella quale venne decapitato il re, riportò la Magna Carta in primo piano.

Quando, cento anni dopo, i coloni americani decisero di ribellarsi alla monarchia inglese fecero  appello proprio  alla Magna Carta, consacrandone definitivamente il forte valore simbolico  anche negli Stati Uniti.

Oggi la Magna Carta è considerata come il primo e universale riconoscimento  dei diritti umani e del cittadino.

La sua importanza  è tale che per gli 800 anni dalla sua nascita  è stato aperto  su Twitter l’account @MagnaCarta800th per celebrare l’evento della prima “Carta dei diritti” della storia.

Questa “vecchia pergamena”  rimane per tutti, oggi più che mai, un potente simbolo dei  diritti e delle libertà delle persone. Troppe volte violati  da dittature e crimini contro l’umanità che non devono più insanguinare la storia degli uomini.foto MagnaCarta 1215

 

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RICORRENZE: LA FESTA DEL SACRO CUORE DI GESU’

Sacro Cuore di Gesù

Nel primo venerdì successivo alla domenica del Corpus Domini la Chiesa celebra ogni anno la solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Si tratta di una ricorrenza a data mobile  che si svolge nell’arco del mese di giugno, e che fa riferimento alla Domenica di Pasqua che, come si sa, è anch’essa  una ricorrenza non  a data fissa, dipendendo a sua volta  dalla prima luna piena che si forma dopo l’equinozio di primavera.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù prese avvio alla fine del Medio Evo, con la considerazione attenta e commossa del significato salvifico dell’umanità di Cristo.

Il Cuore di Gesù è il simbolo dell’amore che Cristo Redentore ha recato e mostrato agli uomini, e richiama la donazione radicale che Gesù fa di se stesso nella concretezza storica della sua libertà.

Tale devozione assunse contorni più precisi sotto l’influsso delle apparizioni e rivelazioni private, riconosciute dalla Chiesa, che Gesù fece a Santa Margherita Maria Alacoque, una suora dell’ordine della Visitazione di Santa Maria ( dette “visitandine” ), che insieme a San Claude de la Colombière  ne propagarono il culto nel corso del XVII secolo.

Gesù stesso, apparendo alla suora, le mostra il suo Cuore circondato di spine, con queste parole: “ Ecco il Cuore che ha tanto amato il mondo, ed è da loro così poco riamato”.

Sin dal principio, Gesù ha fatto comprendere a Santa Margherita Maria Alacoque che avrebbe sparso le effusioni della sua grazia su tutti quelli che si sarebbero interessati a questa amabile devozione; tra esse fece anche la promessa di riunire le famiglie divise e di proteggere quelle in difficoltà riportando in esse la pace.

Santa Margherita scrive alla superiora, Madre  De Saumaise, il 24 agosto 1685: «Gesù mi ha fatto conoscere la gran compiacenza che Egli prende nell'essere onorato dalle sue creature e la promessa che tutti quelli che si sarebbero consacrati a questo sacro Cuore, non sarebbero periti per sempre e che, siccome Egli è la sorgente d'ogni benedizione, così le spanderebbe, con abbondanza, in tutti i luoghi dove fosse esposta l'immagine di questo amabile Cuore, per esservi amato e onorato. Così riunirebbe le famiglie divise, proteggerebbe quelle che si trovassero in qualche necessità, spanderebbe l'unzione della sua ardente carità in quelle comunità dove fosse onorata la sua divina immagine; e ne allontanerebbe i colpi della giusta collera di Dio, ritornandole nella sua grazia, quando ne fossero decadute».

Ecco inoltre un frammento di una lettera che la santa scrive a un Padre gesuita, P. Croiset: «In quanto alle persone secolari, troveranno in questa amabile devozione tutti i soccorsi necessari al loro stato, vale a dire, la pace nelle loro famiglie, il sollievo nel loro lavoro, le benedizioni del cielo in tutte le loro imprese, la consolazione nelle loro miserie; è proprio in questo sacro Cuore che troveranno un luogo di rifugio durante tutta la loro vita, e principalmente all'ora della morte».

Buona Festa del Sacro Cuore a tutti, in particolare alle famiglie.     

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MASS MEDIA SCATENATI CONTRO MEDJUGORJE A NOME DEL PAPA

Foto Chiesa di Medjugorje

A dare retta ai giornali di ieri, 10 giugno 2015, sembra proprio che il Papa abbia condannato le apparizioni di Medjugorje. Lo stesso Telegiornale di un principale canale televisivo  ha dato la grande notizia in anteprima, alle 13.30 di ieri l’altro, alludendo a un monito di Papa Francesco lanciato in mattinata, durante l’omelia a Santa Marta, contro quelle apparizioni.

Ciò ha provocato  lo scatenamento di una campagna massmediatica contro Medjugorje, da giornalisti che avevano le armi già affilate da tempo, al quale ha fatto seguito  una reazione altrettanto veemente,  sui blog e social forum, di quelli che sono schierati dall’altra parte.

In Italia è diffusa l’usanza di salire in massa sul carro dei più forti, senza curarsi più di tanto della veridicità delle posizioni assunte, e dell’attendibilità delle fonti delle notizie che si ricevono. Se è il telegiornale a parlare in un certo modo, o un  giornale nazionale importante, vuol dire che ciò che dice corrisponde al vero.

Questo è uno dei motivi per cui la confusione regna sovrana, e in essa trovano varchi favorevoli coloro che per mestiere diffondono volutamente la menzogna, per destabilizzare quelli che sono alla ricerca  del vero.

Questa premessa serve a  sgombrare il campo da equivoci: chi scrive è un cattolico che tiene in primaria  considerazione le parole del Papa, ed è anche un pellegrino che si reca volentieri a Medjugorje, e continuerà a farlo in assenza di un divieto ufficiale della Chiesa.

Prima di analizzare in dettaglio cosa ha detto testualmente il Papa l’altro ieri, ci sono due notizie certe su Medjugorje, da cui non si può prescindere per fare chiarezza sul punto.

La prima è l’intervento che lo stesso  Pontefice ha fatto il 6 giugno scorso nell’aereo di ritorno da Sarajevo, rispondendo alla domanda di un giornalista su cosa pensasse del fenomeno di Medjugorje.

Il Papa ha detto: "Sul problema di Medjugorje Papa Benedetto XVI, a suo tempo, aveva fatto una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini; c'erano anche altri cardinali, teologi e specialisti.

Hanno fatto lo studio e il cardinale Ruini è venuto da me e mi ha consegnato lo studio, dopo tanti anni, non so, 3-4 anni più o meno. Hanno fatto un bel lavoro. Il cardinale Mueller (prefetto della congregazione per la dottrina della fede) Mi ha detto che avrebbe fatto una 'feria quarta'", ossia un'apposita riunione, in questi tempi". Aveva concluso Francesco: "Siamo lì lì per prendere delle decisioni. Poi si diranno. Per il momento si danno soltanto alcuni orientamenti ai vescovi, ma sulle linee che si prenderanno".

Si capisce chiaramente da queste parole che il Papa non si è pronunciato né a favore né contro Medjugorje, e  che a breve diramerà  la posizione ufficiale della Chiesa.

La seconda cosa certa sono le parole del Cardinale Ruini sul lavoro della Commissione d’inchiesta su Medjugorje, da lui presieduta:

«Io non so quale sarà il giudizio conclusivo. Noi abbiamo fatto solo un proposta articolata, dopodiché sarà la Congregazione per la Dottrina della Fede a prendere le decisioni che poi saranno presentate al Papa: l’ultima parola, com’è naturale, sarà quella del Santo Padre».

La Congregazione della Dottrina della Fede si riunirà in seduta plenaria il 24 giugno prossimo per valutare il lavoro della Commissione e presentare al Papa l’esito della loro votazione.

Sarà solo a questo punto che il Papa si pronuncerà e tutti sapremo.

E allora qual è il “polverone” che si è alzato anzitempo, e che avrebbe fatto dire ai mass media che il Papa è contrario a Medjugorje?

Tutto nasce dall’omelia di Francesco dell’altro ieri a Santa Marta.

Il Papa si è soffermato sull’identità dei cristiani, commentando un passo della liturgia del giorno, che si riferiva al discorso di San Paolo ai Corinti sull’identità dei seguaci di Gesù.

San Paolo dice: “E’ Dio stesso che ci conferma, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impressi il sigillo, e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori”. ( 2Cor 1,22)

Il Papa commenta questo passo spiegando ai fedeli quale deve essere la giusta identità del cristiano. Quella di chi è stato scelto da Dio, “unto” con il sigillo dello Spirito, cioè avendo ricevuto lo Spirito Santo dentro di noi, che ci muove concretamente nella testimonianza dell’essere cristiani, non a parole ma nell’azione. Il Papa invita tutti i fedeli a salvaguardare questa identità cristiana lasciando che lo Spirito Santo ci porti avanti nella vita.

E’ a questo punto che Francesco  muove una critica verso quei cristiani che hanno smarrito la loro identità spiegata qui sopra. Quelli che vanno dietro i veggenti per ricevere da loro l’identità che invece hanno già ricevuto da Cristo, che ha dato l’ultima Parola di Dio.

Ecco le parole testuali del Papa: “Per arrivare a questa identità cristiana  Dio ci ha fatto fare un lungo cammino di storia  fino a quando inviò suo Figlio”.

“Anche noi – ha soggiunto – dobbiamo fare nella nostra vita un lungo cammino, perché questa identità cristiana sia forte, così da poterne dare  testimonianza. E’ un cammino  che possiamo definire dalla ambiguità alla vera identità”.

Chi sono quelli che hanno un’identità cristiana ambigua?

“Quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana, e hanno dimenticato che sono stati scelti, unti. Quelli che hanno la garanzia dello Spirito e cercano altrove”.

Cioè andando dietro ai  “veggenti che  dicono  che la Madonna manderà la lettera alle 4 del pomeriggio. E vivono di questo. Questa  non è identità cristiana”.

Questo ha detto il Papa. Vuol dire che non crede all’autenticità di Medjugorje? Niente affatto, o quanto meno  non lo sappiamo. Non una parola sulla questione.

Ha parlato piuttosto dei tanti cristiani che vanno dietro ai veggenti –  alludendo anche  a quelli che vanno a Medjugorje, ma non solo  –  e  che hanno  un’identità cristiana sbagliata, perché credono di aver  bisogno di ricevere novità  da loro,  quando invece  il cristiano è stato “unto” da Dio e ha ricevuto lo Spirito di Cristo che lo guida nella vita.

Chi scrive va a Medjugorje ma non fa proselitismo asserendo che tutti dovrebbero andarci. Non lo fa in cerca di cose nuove, che vengano dai veggenti, rispetto alla propria identità cristiana. Chi ci va con questo spirito farebbe bene a rimanere a casa. Ha ragione  il Papa.

Ma se andare in quel luogo, come a Fatima o a Lourdes, serve per rafforzare proprio quell’identità cristiana che rischia di indebolirsi o addirittura di perdersi, per come si vive oggi il cristianesimo nelle nostre chiese, allora quel pellegrinaggio serve per ritrovare il fervore di fede smarrito e  rafforzare  l’identità. Chiesa ufficiale permettendo.  

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IL PAPA SUL FIDANZAMENTO: “NON SI IMPROVVISA MA SI COSTRUISCE”

Foto Papa in udienza

Il fidanzamento è un “cammino” graduale di preparazione al matrimonio, le cui tappe non devono essere “bruciate” come spesso induce a fare la mentalità odierna del “tutto e subito”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale del mercoledì, in Piazza San Pietro, il 27 maggio 2015. Dice il Papa: “Il fidanzamento – lo si sente dalla parola – ha a che fare  con la fiducia, la confidenza, l’affidabilità. Confidenza con la vocazione che Dio dona, perché il matrimonio è anzitutto la scoperta di una chiamata di Dio. Certamente è una cosa bella che oggi i giovani possano scegliere di sposarsi sulla base di un amore reciproco. Ma proprio la libertà del legame richiede una consapevole armonia della decisione, non solo una semplice intesa dell’attrazione o del sentimento, di un momento, di un tempo breve. Richiede un cammino”.

Nel fidanzamento, ha osservato Francesco, “l’uomo impara la donna imparando questa donna, la sua fidanzata; e la donna impara l’uomo imparando questo uomo, il suo fidanzato. Non sottovalutiamo l’importanza di questo apprendimento: è un impegno bello, e l’amore stesso lo richiede, perché non è soltanto una felicità spensierata, un’emozione incantata.”

E ancora: “L’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna, alleanza per la vita, non si  improvvisa, non si fa da un giorno all’altro”

Francesco ammonisce:  “Non c’è il matrimonio express: bisogna lavorare sull’amore, bisogna camminare. L’alleanza dell’amore dell’uomo e della donna si impara e si affina. Mi permetto di dire che è un’alleanza artigianale”.

Il Papa definisce “quasi un miracolo fare di due vite una vita sola”.

“Un miracolo della libertà e del cuore, affidato alla fede. Dovremo forse impegnarci di più su questo punto, perché le nostre coordinate sentimentali sono andate un po’ in confusione. Chi pretende di volere tutto e subito, poi cede anche su tutto – e subito – alla prima difficoltà (o alla prima occasione). Non c’è speranza per la fiducia e la fedeltà del dono di sé, se prevale l’abitudine a consumare l’amore come una specie di integratore del benessere psico-fisico. L’amore non è questo!

Il fidanzamento mette a fuoco la volontà di custodire insieme qualcosa che mai dovrà essere comprato o venduto, tradito o abbandonato, per quanto allettante possa essere l’offerta”.

Dopo aver ricordato che “anche Dio, quando parla dell’alleanza con il suo Popolo, lo fa – alcune volte nella Bibbia – in termine di fidanzamento”  e che “alla fine Dio sposa il suo popolo in Gesù Cristo”.  

Il Papa ricorda a un certo punto  che gli italiani hanno nella loro letteratura “un capolavoro sul fidanzamento”  sostenendo con forza la necessità “che i ragazzi lo conoscano, che lo leggano”: I Promessi Sposi.

Dice il Papa :“E’ un capolavoro dove si racconta la storia dei fidanzati che hanno subito tanto dolore, hanno fatto una strada di tante difficoltà fino ad arrivare alla fine, al matrimonio”.

Rivolto ai giovani: “Leggetelo e vedrete la bellezza e anche al sofferenza, ma la fedeltà dei fidanzati”.

Papa Francesco è passato poi a riflettere sulla distinzione tra l’essere fidanzati e l’essere sposi, che la Chiesa da sempre custodisce in vista della delicatezza e della profondità di questa verifica: “Stiamo attenti a non disprezzare a cuor leggero questo saggio insegnamento, che si nutre anche dell’esperienza dell’amore coniugale felicemente vissuto. I simboli forti del corpo detengono le chiavi dell’anima: non possiamo trattare i legami della carne con leggerezza, senza aprire qualche durevole ferita nello spirito”.

Certo, ha riconosciuto il Papa, “la cultura e la società odierna sono diventate piuttosto indifferenti alla delicatezza e alla serietà di questo passaggio. E d’altra parte, non si può dire che siano generose con i giovani che sono seriamente intenzionati a metter su casa e mettere al mondo figli! Anzi, spesso pongono mille ostacoli, mentali e pratici. Il fidanzamento è un percorso di vita che deve maturare come la frutta, è una strada di maturazione nell’amore, fino al momento che diventa matrimonio”.

E a riflettere sul fidanzamento in vista delle nozze contribuiscono i corsi prematrimoniali. “Noi vediamo tante coppie – ha osservato con schiettezza il Papa – che magari arrivano al corso un po’ controvoglia” e che tuttavia “dopo sono contente e ringraziano, perché in effetti hanno trovato lì l’occasione – spesso  l’unica! – per riflettere sulla loro esperienza in termini non banali. Sì, molte coppie stanno insieme tanto tempo, magari anche nell’intimità, a volte convivendo, ma non si conoscono veramente. Sembra strano, ma l’esperienza dimostra che è così. Per questo va rivalutato il fidanzamento come tempo di conoscenza reciproca e di condivisione di un progetto. Il cammino di preparazione al matrimonio va impostato in questa prospettiva, avvalendosi anche della testimonianza semplice ma intensa di coniugi cristiani”.

Papa Francesco ha esortato infine  i fidanzati a puntare sulla Bibbia, “da riscoprire insieme, in maniera consapevole”, sulla preghiera liturgica e “domestica”, e sulla “fraternità con i poveri, e con i bisognosi, che ci provocano alla sobrietà e alla condivisione”. E prima di concludere invitando la folla in piazza a pregare con una “Ave Maria” per i fidanzati, Francesco ha invitato  ogni coppia fra loro a dirsi l’un l’altro: “Ti farò mia sposa, ti farò mio sposo”, vivendo  tutto il percorso di preparazione senza che le tappe del cammino siano “bruciate”.

Disattendendo così, per una volta,  la mentalità odierna del mondo del  “tutto e subito”.

Foto Papa in udienza

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